Fear and desire: l’alba del genio

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Dopo oltre quarant’anni, la ricomparsa sugli schermi (grandi e/o piccoli) di Fear and desire, il primo lungometraggio di Stanley Kubrick (1953) desta nuova attenzione e stupore.

Per stessa ammissione dell’autore, che lo volle togliere dalla circolazione, il film appare un esercizio da debuttante, imperfetto e impreciso. La sceneggiatura è quanto mai fragile e lo stesso montaggio, arte nella quale il genio kubrickiano sarebbe esploso a livelli ineguagliabili, appare ridondante e approssimativo.

Però, con il senno di poi, in questo film appaiono in embrione le “impronte digitali”, il tocco unico del Maestro.

Cominciando dal tema: la guerra (astratta: non ci si dice quale) come elemento spersonalizzante e dis-umanizzante; gli incontri sospesi in un alone di mistero (quasi come fossimo “Ai confini della realtà), l’uomo che naviga tra la follia e la razionalità.

E poi quegli sguardi: direttamente piantati nella macchina da presa. Occhi negli occhi, per abbattere un antico dogma cinematografico (mai guardare in camera).

Quello “sguardo fisso ad un chilometro” per dirla come il sergente Joker di Full Metal Jacket: ecco gli occhi di Keir Dullea, Ryan O’Neal, Tom Cruise, Kirk Douglas, spalancati sul mistero.

E quello sguardo tra il lascivo ed il folle di Jack Nicholson, Malcolm McDowell, Peter Sellers, Sue Lyon, Nicole Kidman.

E’ già tutto qui, nella carrellata ossessiva dei volti di questi soldati, ritratti come in fotografia, implacabili, imperscrutabili, misteriosi, testimoni perenni di un umanità coerentemente lanciata verso il proprio fallimento.

Nella gloria del 35 mm.

Al di là del cinema. Al di là dell’uomo. Al di là del tempo e dello spazio.

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Un cammino lungo quattro milioni di anni, che inizia quando l’uomo non era ancora uomo e si conclude quando l’uomo non sarà più uomo. In mezzo, un viaggio nel mistero, nell’ignoto, nel pensiero, nella mente umana…

Il Sole, la Luna, la Terra, Giove, le stelle come palcoscenico, l’inconscio.

Il poema dell’INTELLIGENZA: l’UOMO al cospetto di DIO. L’uomo contro la MACCHINA. L’uomo che diventa BAMBINO.

La regressione come evoluzione sull’orlo dell’abisso del COSMO-ANIMA.

L’INFINITO. PENSIERO = ENERGIA. Il MISTERO che si cristallizza.

Le dimensioni dello SPAZIO. Il TEMPO come fruscio della MENTE.

Tutto e niente. Forse non succede nulla. Forse avviene tutto nella nostra mente.

Forse è la nostra mente…

Da sempre esistono opere d’arte che escono dal ristretto ambito di genere per entrare nel patrimonio culturale universale, opere che sono tappe nell’evoluzione del pensiero e che, a ben vedere, lo condizionano: la Divina Commedia, la cappella Sistina, il David, le sinfonie di Beethoven o le fughe di Bach sono tra le manifestazioni artistiche più alte e profonde espresse dal genio umano.

Dal 1968 tra queste c’è anche 2001: odissea nello spazio, il film con cui Stanley Kubrick ha abbattuto le porte della leggenda. Da allora fiumi di parole, di libri, di siti; una bibliografia sterminata per tentare di capire, spiegare, almeno inquadrare, un film che non si può spiegare, capire, perché non è fatto per essere spiegato, capito… ma per essere visto, sentito con gli occhi della mente, un film che contiene in sé tutti i film già realizzati e quelli ancora da realizzare. Come un quadro di Fontana o di Pollock non esiste senza l’elaborazione mentale dell’osservatore, così 2001 non esiste senza che lo spettatore si chieda “che cosa sto vedendo?” E la risposta a una siffatta domanda non può essere univoca: ciascuno risponde secondo le sue intime convinzioni, e nessuno può avere una sola risposta… Sceneggiato con Arthur C. Clarke, scrittore-scienziato, il viaggio verso Giove di due uomini ed un super computer dalle infinite capacità diventa mito: il bisogno dell’umanità di sentirsi immersa, avvolta dal mistero..

Quindi: che cos’è 2001?

Di sicuro il primo film con effetti speciali computerizzati. Il punto di partenza della attuale generazione di cineasti. Il primo film del terzo millennio. Una sconvolgente armonia di immagini e musica. Un’opera non-verbale a cui la cultura attinge quotidianamente senza sosta.

Lo sguardo lucido di Stanley Kubrick sulle oscillazioni dell’animo umano. Stanley Kubrick: il regista che ha stanato le contraddizioni umane, scolpito le passioni, fotografato la follia, dipinto la violenza, smascherato l’amore, umiliato la guerra. Il regista che ha rappresentato l’uomo come in una barca in navigazione su un mare in burrasca (ah, Ulisse…).

20011

O su un’astronave cullata dal buio dell’Universo, proiettato verso l’infinito, verso il più profondo sé stesso, al di là dello spazio e del tempo… verso nuovi, impensabili campi mentali…

Tutto e Niente.      

Quindi: che cos’è 2001?