Enzo Jannacci. Quando l’arte è vita

Io non posseggo nessuno degli album di Enzo Jannacci.

Ma buona parte delle sue canzoni le conosco benissimo.

Le ho imparate cantandole a squarciagola nei pianobar, nelle serate canore in cui i poemi dei cantastorie sono l’unica, vera colonna sonora di una vita. Non hai bisogno di comprare i dischi di Dalla, De Gregori, De Andrè, Gaber, Branduardi, per imparare quelle canzoni: sono parte di te, della tua vita, sono la tua storia.

Storie quotidiane, di periferie umane e cittadine rese poesia immortale dal genio di chi sa capire e partecipare con il cuore alle vibrazioni delle anime altrui.

Non sono nemmeno propriamente milanese, ma Milano la conosco, eccome… Laboriosa, riservata, intima, piena di quartieri popolari come nei grandi paesoni della Bassa, dove l’orizzonte è un naviglio, una fila di pioppi, una schiera di ciminiere (se le vedi tra la nebbia). E l’obiettivo è un bicchiere di Barbera, magari “gnucco”, come si dice qui, una canzone con gli amici, il derby Milan-Inter, due passi in Piazza Duomo, per vedere di nascosto l’effetto che fa.

C’è ancora questa Milano? Tra i SUV, i quartieri multietnici, i grattacieli che s’innalzano, le bretelle autostradali che avanzano e gli I-pad che rimbambiscono?

Non certo nelle canzoni dei novelli strimpellatori, nati nei talent show di plastica, che durano come la neve a marzo: quelli che… hai fatto una rima cuore-amore e sei a posto.

Ma nelle canzoni immortali di Jannacci e Gaber: quelli che… hanno visto la guerra, la miseria, la fame, e solo se le hai vissute le puoi cantare, anzi: sbeffeggiare…

Quelli che… se hai una storia ed un’ identità le devi difendere, perché quello sei tu…

Quelli che… camminano in paradiso cun i scarp del tènis..

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Ciao, Enzo.